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Articolo pubblicato su Quaderni di Psicoterapia Comparata, nr. 6/2017 (luglio 2017)

 

1. Introduzione

 

Intorno agli anni trenta il medico J.H. Schultz compiva esperimenti con l’utilizzo di tecniche ipnotiche che permettessero al soggetto di parlare ed esprimersi liberamente durante l’intera sessione ipnotica. Sebbene dall’analisi dei verbali di centinaia di casi sia clinicamente sani che portatori di patologia emergessero sostanziali differenze, l’aspetto più interessante risultò la presenza di alcuni elementi comuni in praticamente tutti i casi, ovvero le sensazioni percepite di calore e pesantezza a carico degli arti, il rallentamento del battito cardiaco e della frequenza respiratoria, la sensazione di caldo a livello addominale e di fresco in corrispondenza della fronte quando venivano suggerite sensazioni generali di rilassamento.

Da tali considerazioni Schultz trasse l’ipotesi che potesse realizzarsi anche il fenomeno opposto, ovvero che inducendo le sensazioni sopra descritte la persona potesse raggiungere uno stato di distensione e tranquillità. Il passo successivo fu quello di ideare un metodo con il quale allenare (training) il soggetto a procurarsi tali sensazioni e da ripetere con esercizi di complessità progressiva durante tutta la settimana e senza la presenza del conduttore (autogeno). Tale lavoro venne definitivamente sistematizzato con l’uscita dell’opera Das autogene Training (Schultz, 1932).

Articolo pubblicato su Quaderni di Psicoterapia Comparata, nr. 5/2016 (giugno 2016)

Negli anni '90, parallelamente alla diffusione della rete Internet, sempre più persone entrarono in contatto con il concetto di ipertesto, ovvero la possibilità di approfondire velocemente aspetti del testo in consultazione semplicemente selezionando un termine di tale testo. Tale possibilità, oggi praticamente ovvia, segnò una vera e propria rivoluzione. Fu il primo vero passo per la transizione da un antico metodo di fare ricerca e studio ad uno tutto nuovo.

Articolo pubblicato sul Dossier Famiglia del Centro Famiglia S. Anna (Pistoia), anno XII – N. 2 (Dicembre 2013)

Lei è appena uscita di casa, è da sola, nella penombra. Lui e là, nascosto dietro al muro, che la osserva, la brama, la desidera. E' pronto ad uscire all'improvviso, a coglierla di sorpresa.
Passo dopo passo, nell'ombra, lei procede, disarmata e impaurita da tutto quello che le sta capitando, dalla paura di essere ancora una volta vittima, ma non può proprio fare a meno di andare ad aspettare i bambini alla fermata dell'autobus, nonostante la paura che ancora una volta scopra quanto sia in pericolo la sua vita. Ed è proprio nel momento in cui sta per girare l'angolo che si accorge di non esser sola, non sa come ma lo sa, un brivido lungo la schiena, segnale ancestrale purtroppo divenuto quotidiano, e la paura diventa freddo e caldo contemporaneamente, sudore, tensione, paura di svenire.
Solamente due passi, gli ultimi due, la separano da quello che l'attende, mentre l'autobus inizia a comparire in lontananza.
La testa gira, «devo resistere, lo devo ai miei figli, a me stessa, alla vita, non devo cedere, non devo svenire», ma chissà se vincerà questa sera, in questo assurdo ring che si prospetta tra un passo ancora, ancora una volta.

Dal link presente di seguito è possiblie scaricare delle slides realizzate dalla dott.ssa Elisa Papini relative al pane:

[Scarica le slides]

Il 20 gennaio 2012 si è tenuto presso il Centro di aiuto psicologico Prometeo un incontro dal titolo Le intolleranze alimentari: fantasie e mode da sfatare, a cura della dott.ssa Elisa Papini.

Durante tale incontro sono stati affrontati temi quali la distinzione tra allergie e intolleranze, la diagnostica delle allergie alimentari, le reazioni pseudoallergiche, l'intolleranza al lattosio, la celiachia.

La dispensa consegnata durante tale incontro, realizzata a cura della dott.ssa Papini, è disponibile per la consultazione e può essere prelevata da questo link: [Scarica la dispensa]

Il confine tra la corretta informazione e il risuonare ridondante del “coro” dei mass media diventa complesso da individuare. Il bullismo è diventato in alcuni periodi  un fenomeno “di moda” che vedeva gli adulti spettatori annichiliti. Non volendo cadere nella trappola mediatica del “pan-bullismo” il Centro Famiglia S. Anna ha  organizzato lo scorso aprile l’incontro “I ragazzi e il gruppo: il bullismo si può superare!”  aperto ai genitori e agli insegnanti. Lo spirito costruttivo che ha caratterizzato questa iniziativa ha reso possibile un approfondimento riflessivo sul bullismo e sulle risorse dei nostri ragazzi. Parlare di questo fenomeno e dei suoi aspetti è un punto di forza importante per poterlo conoscere, prevenire e, nel caso occorra, superare.

Recensione in chiave psicodinamica del film "Il Grande Cocomero"  (1993) di Francesca Archibugi. Con Anna Galiena, Sergio Castellitto, Alessia Fugardi, Victor Cavallo.

Pippi sta male per un problema che la fa soffrire tanto per i sintomi quanto per l'indifferenza di chi gli ruota intorno; si chiama incomprensione, una malattia, forse meglio dire una sindrome, che, lentamente e inesorabilmente, la porta a crearsi delle difese, le quali non vengono comprese come tali e, pertanto, non fanno altro che incrementare il circolo vizioso dell'indifferenza.
Per sopravvivere sceglie una strada difficilissima: unisce la diade mente-corpo, somatizza l'epilessia della quale, sotto forma criptogenetica, aveva fatto conoscenza in tenera età. L'epilettizzare diviene una difesa sicura, un muro dietro il quale i problemi non arrivano, ma anche uno schermo su cui gli spettatori potrebbero leggere il dolore che in realtà è celato dietro tutto questo. Ma il pubblico che a Pippi preme di più, i genitori, non sono in grado, non vogliono interpretare il significato di quanto proiettato, preferiscono ridurre il tutto all'esperienza esteriore del disturbo. Nemmeno un elettroencefalogramma durante il sonno che risulterà privo di evidenti segni epilettici riuscirà a cambiare la concezione materna sul disturbo, “Allora è matta”, un giudizio freddo e incisivo che rispecchia ancora una volta la visione di bambina "venuta male" che la madre conserva e non esita a proporre agli altri come per scusarsi di tale errore.

Tutto inizia una mattina quando, in fila in un tabacchino per acquistare marche da bollo, era impossibile non notare come al banco del Gioco del Lotto ci fossero a puntare cifre tutt’altro che modeste, anche con carta di credito (!) tante persone anziane. Tutto normale e nella prassi, se una volta rientrati in macchina non avessimo per sbaglio – o per sorte – udito uno spot per l’appunto del Lotto che promette la possibilità di vincere biglietti per il nuovo tour di Vasco Rossi a tutti coloro che giocheranno una schedina del Lotto. E’ stato quasi inevitabile far scattare un’associazione: “fila di persone anziane”<->“chi gioca al lotto vince qualcosa da giovani”, impossibile non intravedere un tentativo di coinvolgere nel gioco del Lotto i giovani, ovvero proprio quella fascia di persone che attualmente non partecipano a questo gioco. Ma come, un Monopolio di Stato, uno Stato che tanto decanta programmi di prevenzione destinati a vecchie e nuove dipendenze, adesso promuove con così tanta arguzia un’iniziativa per avvicinare i giovani al gioco? Per togliersi il dubbio di aver sentito male la pubblicità radiofonica, altro non restava che consultare il sito internet del Lotto,[1] e purtroppo questo non solo non ha eliminato i nostri dubbi, ma li ha resi più fondati e preoccupanti.

Durante una serie di incontri con genitori è stata notata una costante, ovvero il bisogno di esprimere la loro personale storia, le loro incertezze ed i loro dubbi con lo scopo di venire rassicurati sul fatto di essere o meno dei buoni genitori. Cercando un modo di dialogare sul rapporto diadico genitore-figlio, abbiamo adottato come riferimento teorico il concetto bowlbiano di stile di attaccamento,  partendo dal considerare lo stile relazionale che caratterizza il rapporto tra genitori e figli come qualcosa di unico, specifico e gratificante. All’interno di questo lavoro, proposto in prima linea ai genitori stessi, abbiamo utilizzato gran parte di quanto indicato da D.W.Winnicott (1953;1965), famoso pediatra e psicoanalista inglese, il quale basa la sua teorizzazione sulla “sana” assenza di una madre perfetta, ovvero sul concetto di “madre sufficientemente buona” cioè una figura accogliente, non esente da errori ed omissioni, in primis in grado di porsi la questione dell’essere madre, in grado di sostenere (holding) lo sviluppo del proprio figlio. 

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Mancanza di autostima

Salve, sono una ragazza di 17 anni. Scrivo perché ho tanta paura di cadere in una specie di depressione... e per l'età che ho non voglio che accada.
La mia famiglia, sopratutto mio padre non crede in me. Puntualmente mi dice che finirò per andare a fare pulizie in giro, che di meglio non posso fare.
Mia madre è succube di mio padre. Lei ora mai non decide più nulla, fa tutto mio padre, e io questa cosa non la sopporto. Come chiedo una cosa a mia madre lei mi dice vedi cosa dice tuo padre, e a lungo andare e davvero pesante questa cosa. Non si stanno accorgendo che così mi stanno perdendo. Con mio padre ci diciamo a malapena un ciao. Poi ho il mio fidanzato che nonostante sia più grande di me neanche lui crede in me. In poche parole mi stanno distruggendo pian piano. Devo essere sincera più per colpa dei miei che mi sento così abbattuta e che non riesco a concludere più niente! Sto morendo pian piano... non c'è la faccio più... aiuto!! Vi prego rispondete!! Cordiali saluti

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