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La nascita della psicoanalisi

In questo scritto verranno esposte in chiave storica le linee generali della psicoanalisi; il riferimento alla vita del suo autore, S.Freud, e al contesto in cui tale disciplina è nata, Vienna, sono imprescindibili per la comprensione della psicoanalisi più che per altre teorie. Non potendo trattare gran parte della vastissima popolazione di persone che hanno contribuito al movimento psicoanalitico, l’attenzione è stata rivolta verso coloro che sono rilevanti per quanto esposto. Alcune citazioni dallo stesso Freud sono state riportate con lo scopo di permettere una più lineare esposizione degli aspetti di volta in volta trattati. Consci delle moderne critiche mosse nei confronti della psicoanalisi, il presente elaborato la tratterà nella sua formulazione originaria con l’unico scopo di evidenziare le basi della teoria da cui autori successivi hanno preso spunto. Il tema dell’inconscio come insieme di vissuti da reintegrare per il completamento della nostra storia e per l’accettazione del bambino che è in noi sarà il mezzo che ci condurrà dalla storia della psicoanalisi al raggiungimento del nostro obiettivo.

 

Vienna alla fine del secolo

Alla fine del diciannovesimo secolo Vienna si trovava in una posizione storico-culturale del tutto particolare. Capitale dell’impero austriaco e sede di un continuo rinnovamento economico-sociale, Vienna era considerata un punto di riferimento intellettuale all’interno dell’Europa. La disgregazione della società borghese e la crisi della cultura positivista rendevano tale contesto, contenente circa un milione di persone, ricco di problematiche allora non ancora presenti in altri paesi. Il definitivo abbandono della cultura medioevale fu segnato dall’imperatore Francesco Giuseppe I tramite il cambiamento radicale di varie zone della città e, quindi, dando una nuova forma a quello che era stato fino ad allora lo stile dominante.

Gli ebrei, i quali ottennero la parità dei diritti nel 1867, si integrarono progressivamente nei nuovi ceti borghesi. L’abolizione dei ghetti portò ad un profondo cambiamento culturale derivato in gran parte dalla crisi rispecchiante il mutato stile di vita, dalla contemporanea presenza di ben quattro lingue e dall’incontro con una nuova cultura ed un conseguente diverso modo di pensare. I giovani derivanti da questo mutamento si ritrovarono possessori di un benessere ricercato dai loro padri che li allontanò dalle proprie origini e, quindi, contribuì al progressivo distacco dalle tradizioni. L’incontro tra nuove etnie ed i relativi conflitti di classe alimentarono un ambiente misto in cui il caos si manifestò sotto forma di angoscia e precarietà derivata in parte anche da una identità personale non facile da raggiungere.

Tutto questo contribuì a strutturare una nuova visione della società e una mutata concezione dell’uomo, visto adesso in una prospettiva più globale rispetto al passato. Tale rivoluzione, vissuta da un vasto pubblico, fu alla base della ricerca di nuove forme espressive in vari campi quali l’arte, la letteratura, la pittura e la musica. L’uomo che aveva vissuto il sicuro e razionale ruolo borghese a poco a poco si spostò sul versante psicologico, dove diveniva fondamentale affrontare il conflitto interiore alla ricerca della verità intesa come quella virtù raggiungibile soltanto attraverso una nuova consapevolezza che avrebbe ridonato la libertà. All’interno di un mutato rapporto con il mondo la conoscenza si trovò privata di una netta distinzione tra soggetto e oggetto. Le sicurezze derivate dall’antropocentrismo, strutturato come ultima difesa dall’ignoto, caddero in virtù di uno sguardo che si posava sul dubbio, sulle incertezze e sulla negazione delle apparenze in favore di un sofferto incontro con il profondo.

All’età di quattro anni Sigmund Freud (1856-1939), trasferendosi a Vienna a causa di una crisi generale del commercio che aveva interessato anche la sua famiglia, incontra tale complesso contesto. Nato a Freiberg in Moravia (attuale Cecoslovacchia) dal matrimonio del padre Jacob con la terza moglie Amalie Nathanson ed appartenente ad una famiglia di ebrei commercianti in lana, si laurea nel 1881 in medicina con la qualifica di eccellente ma, a causa della sua posizione sociale, viene sconsigliato a proseguire la carriera di ricercatore. Si avvicina per la prima volta a pazienti psicotici nella clinica psichiatrica di Meynert dove si interessa del fenomeno delle allucinazioni. Nel 1885 diviene specialista in malattie nervose ed ottiene una borsa di studio per Parigi dove avrà modo di seguire le lezioni di Jean Martin Charcot (1825-93) alla Salpêtrière.

Percorrendo tale formazione culturale, Freud ebbe più volte modo di confrontarsi con le ideologie proprie della nuova psichiatria dinamica, movimento che alla fine dell' 800 si stava progressivamente delineando in Germania. Tale movimento nacque principalmente dalla riscontrata frequente impossibilità di risalire alla causa di vari disturbi mentali e, quindi, dal bisogno di riconoscere certe patologie come derivate unicamente da cause psicologiche. Assumendo tale posizione, cambia il rapporto medico-paziente, considerato quest’ultimo non più soltanto come portatore di una sindrome organica ma anche come essere umano sofferente. Il medico si trova ad occupare il ruolo di studioso e oggetto di studio allo stesso tempo, estendendo la ricerca oltre che fuori anche dentro di sé. Di conseguenza, muta tutta la struttura curativa la quale si adegua a tale modello di riferimento. Questo porta ad un distaccamento dalla psichiatria classica, occupata nell’indagine organica e alla classificazione tassonomica, in favore di una ricerca della diagnosi precisa intesa come parte essenziale concorrente alla risoluzione del disturbo.

Nonostante Freud mutui dalla medicina classica l’interesse per la patologia come specchio per intravedere l’aspetto normale e non abnorme della funzione studiata e il concetto di terapia, non riesce a rispettare l’insegnamento di non rimanere coinvolto nel rapporto col paziente. Pertanto, l’ascolto si sostituisce all’osservazione; il passaggio dall’interesse verso l’organico a quello rivolto al racconto del soggetto traccia le fondamenta per la psicoanalisi.

Partendo da questi presupposti, Freud costruirà la sua teoria, dove il noto e l’apparenza perdono di importanza a favore di una ricerca nel profondo e di una scoperta dell’ignoto immancabilmente guidata dalle tracce dell’insicurezza. Tale estremo tentativo di strutturazione del caos, ultimo approccio illuministico, sarà innegabilmente legato alla storia del suo teorizzatore, della sua infanzia, della città dove è vissuto e, da non sottovalutare, della sua cultura: « La psicoanalisi non è balzata fuori dalla roccia, né è caduta dal cielo; essa si allaccia a concezioni più antiche che porta avanti, si diparte da sollecitazioni che sviluppa ed elabora. Perciò nel fare la sua storia bisogna cominciare con la descrizione degli influssi che furono determinanti per la sua origine, né si possono dimenticare i tempi e le circostanze che hanno preceduto il suo avvento» (Freud, 1923, p. 587).

Sarà lo stesso Freud ad ammettere che la psicoanalisi stabilisce l’ultimo passo della distruzione delle sicurezze umane, iniziata con l’opera di Copernico (dove il modello eliocentrico spodestava l’uomo dalla sua centralità all’interno dell’universo) e continuata con la collocazione darwiniana dell’uomo all’interno degli altri animali, discendente da questi e non più direttamente da Dio (Freud, 1916, p. 657).[1] Dopo la caduta delle false credenze riguardo al mondo, con la psicoanalisi cadono anche le false credenze sull’interiorità umana.

 

L’isteria e la rivoluzione

All’ospedale parigino della Salpêtrière Freud entrò in contatto con Charcot il quale stava studiando l’isteria, una patologia molto particolare che, fin dai tempi dei greci, era stata sempre considerata propria della personalità femminile e legata a problemi anatomici derivanti dall’utero (da cui il termine prende nome). Charcot, al quale spetta il diritto di aver attribuito per primo dignità scientifica all’isteria, si dedicava particolarmente ad isterie traumatiche e convinse Freud dell’utilità terapeutica dell’ipnosi applicata a questi casi, presentandola come un valido sostituto degli inefficienti metodi curativi utilizzati fino ad allora, quale l’idrologia, per la cura dei disturbi nervosi. Ben presto Freud iniziò a perdere fiducia nell’ipnosi che, seppur pareva uno strumento ricco di utilità e di mistero, si rivelò avere effetti momentanei, non sempre garantiti e non ben apprezzati all’interno dell’ambiente scientifico dove si era formato e che in un momento successivo non accoglierà le proprie idee riguardo l’isteria anche a causa dei precedenti e pionieristici esperimenti fatti con la cocaina. In questo periodo Freud contattò Josef Breuer (1842-1925) dal quale apprese della terapia che stava sperimentando con una giovane paziente, Anna O (Breuer, Freud, 1892-95). Tale ragazza, dotata di buona intelligenza, accusava vari sintomi, tra i quali una paralisi rigida, insensibilità e incapacità di comprendere la lingua materna, insorti dopo la morte del padre da lei assistito durante la malattia.

La novità terapeutica introdotta da Breuer è riassumibile dal concetto di abreazione, una scarica emozionale messa in atto dalla paziente in ipnosi che così si libererebbe da un ricordo traumatico causa dell’isteria. Il ritorno di uno stato psichico precedentemente vissuto responsabile della patologia e la liberazione della carica emotiva collegata a tale ricordi divengono elementi cardine da cui non poter prescindere al fine della guarigione. Tale metodo (catartico) viene integrato con momenti di “talking cure”, termine elegantemente coniato dalla stessa Anna O., dove il discorso e le associazioni verbali forniscono un valido mezzo per poter scoprire il focus patogeno. Il primo passo del distacco di Freud dal pensiero di Breuer si ha con il cambiamento del metodo terapeutico per cui, mentre Breuer attua una certa manipolazione nei confronti del paziente secondo il modello medico allora vigente, Freud rinuncia all’ipnosi in favore del metodo della pressione: il paziente dovrà dire tutto quello che gli viene in mente in stato di non ipnosi ed eventualmente stimolato dalla pressione esercitata sulla fronte con la mano dal medico.

Nel 1889 a Nancy Freud incontra Hyppolite Bernheim (1840-1919) e si interessa della sua capacità di indurre i pazienti a rievocare avvenimenti accaduti sotto ipnosi di cui non hanno apparente consapevolezza. Questa particolarità fornisce l’idea di poter recuperare contenuti psichici considerati perduti senza l’uso dell’ipnosi e, quindi, di poter giungere al sintomo attraverso la parola. Percorrendo tale via Freud incontra quel collegamento tra neurologia e psicologia che permette di spiegare i processi psichici in base a quelli fisiologici, sintesi che era stata precedentemente teorizzata nel Progetto di una psicologia (Freud, 1859).

Progressivamente Freud si distacca dall’idea di Breuer di una causa remota vista come contenuto passivo in favore di un processo dinamico e, soprattutto, per il non concordare su l’eziologia isterica: Freud sostiene che la nevrosi debba essere attribuita a fattori sessuali. Seguendo questo percorso, Freud accetta l’ipotesi di Breuer che pone alla base dell’isteria un’eziopatogenesi traumatica ma aggiunge una nuova teoria sulla genesi sessuale delle nevrosi: le isteriche hanno subito un trauma sessuale durante la prima infanzia quale tentativi di seduzione da parte soprattutto del padre. Tale atto non sarebbe stato immediatamente patologico in quanto non elaborabile a causa dell’immatura struttura psichica del soggetto che troverebbe soltanto durante e dopo la pubertà i fattori scatenanti la nevrosi. Assumendo l’infanzia come un periodo caratterizzato dall’impossibilità di riconoscere un’aggressione sessuale, Freud non toglie ai bambini la loro innocenza tipica e, quindi, evita ulteriori critiche a questo riguardo. La teoria del trauma sessuale sarà successivamente smentita dallo stesso Freud il quale, trovandosi impossibilitato a giustificare in tutti i casi la presenza di un trauma di origine sessuale, ammetterà che si tratta di invenzioni create dai pazienti. In questo modo nasce il fondamentale concetto secondo cui può esistere una realtà psichica diversa ed in parte contrastante con quella reale. Si struttura il concetto di inconscio,[2] coniato a partire dal concetto di “altra scena” formulato originariamente dal neurofisiologo G.T.Fechner (1801-87) e centrale per tutta la psicoanalisi, secondo cui esiste un contenuto mentale di cui il soggetto non è consapevole ma che lo condiziona; le dinamiche affettive non sempre sono consapevoli e tutto l’agire umano è dotato di senso, spesso nascosto. Anche i rapporti interpersonali assumono una nuova immagine e appaiono in quest’ottica costantemente controllati da nuovi moti non direttamente gestibili.

L’analisi diviene la strada maestra per indagare il significato celato dall’evidente, non nella forma pura di inconscio, inconoscibile nella sua totalità, ma nelle sue forme derivate quali il sogno o il sintomo. A tali manifestazioni dell’inconscio sarà attribuito un senso come traccia attraverso un paziente lavoro di investigazione. Il concetto di inconscio abbatte le barriere imposte dalla psicologia scientifica dell’epoca e diffusa soprattutto nei laboratori tedeschi, dove non venivano presi in considerazione concetti quali la fantasia e l’irrazionalità e dove «…la fisiologia…allora, naturalmente, si identificava troppo con la sola istologia» (Freud, 1927, p. 419). Eventi fino ad allora non considerati come lapsus, gesti automatici e amnesie divengono processi attivi ed espressione di un compromesso attraverso cui persone non nevrotiche esprimono celando contenuti inconsci non rimossi del tutto attraverso la modificazione parziale di attività marginali, cosa non presente nei nevrotici nei quali il rimosso disturba aspetti fondamentali come l’alimentazione o la sessualità (Freud, 1901).

Il bambino assume nuovi connotati e appare come essere avente determinate prerogative già nell’infanzia. Per la prima volta Freud formula la tesi dell’esistenza di una sessualità già presente nell’infanzia secondo cui la sindrome isterica è collegata ad esperienze autoerotiche infantili: se le energie sessuali non troveranno un oggetto entro i cinque anni avremo una predisposizione verso l’isteria, formazione di compromesso tra il desiderio di espressione e il desiderio di repressione.

Dove Charcot aveva inizialmente posto un modello medico per l’isteria, Freud fornisce il modello psicologico mancante.

Il nuovo modello terapeutico si baserà sulla cosiddetta “regola fondamentale”, consistente nel lasciar parlare liberamente il paziente in modo che i contenuti emergano in sequenza logica fino a giungere alla resistenza, indicatore di problematiche sottostanti: «Lei osserverà che durante il Suo racconto Le vengono in mente diversi pensieri, che vorrebbe respingere con determinate obiezioni critiche. Sarà tentato di dirsi: questo o quello non c’entra oppure non ha alcuna importanza, oppure è insensato, perciò non c’è bisogno di dirlo. Non ceda mai a questa critica e nonostante tutto dica, anzi dica proprio perché sente un’avversione a dire» (Freud, 1913).

Breuer abbandona la terapia di Anna O. a causa del coinvolgimento affettivo che era maturato nei suoi confronti. Prendendo spunto da questo, Freud ipotizza che si tratti di un esempio di come l’educazione e la morale non consentono un sano rapporto con la sessualità e, ritenendo fondamentale il coinvolgimento affettivo tra paziente e terapeuta, formula il concetto di transfert (inizialmente denominato “traslazione”): uno spazio dove permettere al paziente di rinunciare alle difese per rivivere col terapeuta sentimenti rimossi del passato vissuti nei confronti di persone significative (in particolar modo il padre) e, quindi, la propria sessualità. Il transfert (e relativo controtrasfert del terapeuta sul paziente) diviene fondamentale elemento terapeutico per comprendere l’analizzato, tramite una sorta di coazione a ripetere messa continuamente in atto, dove il sentimento erotico supera le resistenze e si mostra nella sua totalità.

Il tentativo di fondare una psicologia neurologica espresso nel Progetto di una psicologia (Freud, 1895) cade davanti alla realtà di un’impresa impossibile e l’apparato psichico viene espresso unicamente come psicologico.

 

La sessualità

L’indagine psicoanalitica conduce, partendo dall’attribuzione di importanza alla determinazione del mondo inconscio, all’indagine del ruolo della sessualità che viene disinvestita della funzione unicamente procreatrice per assumere aspetti nuovi, quali un’esistenza autonoma e sottostante a quanto possa apparire come il decorrere quotidiano degli eventi. La sessualità, intesa come energia che sottende ogni azione umana, viene deprivata dell’etichettatura di anormale in riferimento agli atteggiamenti non volti alla procreazione, atto distinto da quello sessuale. Il vero sconvolgimento recato dalla teoria freudiana consiste non tanto dal discorso sulla sessualità adulta quanto alla rinuncia del principio allora vigente riguardo l’inesistenza della sessualità infantile. Teorizzando l’esistenza di un’organizzazione sessuale e di un’energia sessuale repressa da una società e da una morale che ne impediscono la completa espressione, la patologia dell’adulto appare come la normalità per il bambino. L’esistenza dell’amnesia infantile giustifica l’assenza di ricordi, in particolare di natura sessuale, di eventi accaduti prima del settimo-ottavo anno di età. Il processo evolutivo diviene il mezzo per comprendere i processi involutivi, causa nella vita adulta di perversioni o di nevrosi.

L’energia psicofisica di natura sessuale viene definita dal termine libido in modo qualitativo ma non misurabile. La libido può investire ogni parte del corpo in tempi diversi e tende a focalizzarsi su parti predestinate ( le zone erogene, ad alto investimento energetico ). Un accumulo di tale energia provoca dolore contrapposto al piacere della sua scarica.

Maturando, la libido investe varie funzioni. Nel primo anno l’energia sessuale si focalizza sulla fase orale e la bocca assume il primato per la soddisfazione del desiderio. Successivamente e grazie anche alle sollecitazioni esterne la fase anale subentra a quella orale e si mantiene fino ai due-tre anni di età; caratterizzata da un’alta conflittualità, le feci assumono il ruolo fondamentale di gratificazione e di scambio oggettuale col mondo esterno. In questa fase un intervento educativo errato può nuocere gravemente portando all’instaurarsi nella vita adulta di una nevrosi ossessiva. Dai 3 anni circa fino al subentrare della latenza (5-7 anni) il bambino entrerà nella fase genitale e la libido occuperà le zone genitali (Freud, 1905).

La sessualità infantile si organizza sotto il primato della genitalità come fusione degli istinti parziali caratterizzanti le tre fasi. Se questo non avviene, nell’adulto una mancanza di processi inibitori porterà facilmente a delle perversioni mentre una rimozione eccessiva condurrà a nevrosi (compromessi tra tendenze sessuali e rimozioni).

 

Il complesso di Edipo

Attraverso l’autoanalisi Freud scopre il complesso di Edipo. Tale termine viene ripreso dal caso mitologico dell’Edipo di Sofocle il quale avrebbe dovuto essere ucciso dal padre Laio, Re di Tebe, per sfuggire ad una profezia ma, a seguito di una serie di peripeziali vicende, Edipo uccide il padre e sposa la madre.

Al terzo anno di età la richiesta pulsionale genitale spinge il bambino a ricercare un oggetto sessuale esterno a cui riferirsi. Essendo la madre la persona in più intimo contatto con lui cadrà proprio su di lei la scelta. Il padre appare agli occhi del bambino, sotto una nuova luce, come ostacolo al congiungimento del piccolo con la madre, carico degli aspetti del divieto di un rapporto incestuoso e rappresentante la legge sovrastante. Per questo motivo, il bambino proverà odio nei confronti del padre vissuto come ostacolo. Rappresentandosi la situazione in maniera angosciosa il bambino, il quale fantastica anche sulla scena primaria (l’intimità della coppia parentale traumaticamente vissuta come archetipo), prova sentimenti contrastanti nei confronti della figura paterna. L’aggressività, inaccettabile sotto forma di desiderio di uccidere il padre, diviene paura della castrazione come annullamento della genitalità. L’angoscia di castrazione porta il bambino alla rinuncia della madre. Tale vicenda verrà rimossa dal bambino in quanto unica soluzione possibile verso un’accettazione totale del fenomeno. Successivamente nel bambino, attraverso l’identificazione con l’aggressore-padre, si formerà il Super-Io, sistema di valori e divieti e introiettato, ad immagine del Super-Io parentale e, quindi, scaturito da una continuità generazionale. La rinuncia dell’oggetto, la madre, porta il bambino all’abbandono dell’onnipotenza e ad entrare nel mondo sociale; a suo tempo, superata la successiva fase di latenza che si protrarrà fino a circa i 10 anni di età e sarà caratterizzata da un calo dell’energie sessuali e quindi da una maggiore educabilità, gli sarà concesso di prendere il posto simbolico dei genitori attraverso la possibilità di instaurare una relazione d’oggetto totale con un partner sessuale. Nella pubertà è indicatore di questi moti pulsionali il rapporto affettivo ed aggressivo allo stesso tempo che i bambini instaurano con gli insegnanti. Un esempio del complesso edipico è offerto dallo stesso Freud (1908), dove ritroviamo lo spostamento dell’aggressività e della paura, vissuti da un bambino nei confronti del padre, su un cavallo.

Interessante risulta il cambiamento prospettico effettuato da Freud il quale passa dall’interesse verso la sessualità femminile altamente indagata attraverso l’isteria al focalizzarsi sulla sessualità maschile. Mentre il complesso edipico maschile viene spesso trattato, a quello femminile viene dedicato meno spazio. Il bambino attribuirà la scoperta dell’assenza fallica della bambina all’avvenuta castrazione di questa e, quindi, rafforzerà la propria idea di una possibile castrazione da parte del padre. All’opposto, la bambina proverà inferiorità scoprendo di non essere come il bambino. Tale inferiorità la porterà ad allontanarsi dalla madre vissuta come ostile e creatrice di una bambina imperfetta in favore della ricerca del padre dal quale ottenere un figlio per compensare la perdita. Il divieto d’incesto socialmente vigente farà sì che l’oggetto d’amore venga identificato con il Super-Io e che quindi la bambina, oltre a non incontrare la fine del complesso di Edipo, divenga dipendente per sempre dall’autorità.

 

La psicoanalisi

Una profonda autoanalisi porta Freud, oltre alla scoperta di quello che sarà poi denominato complesso di Edipo e della sessualità infantile (che implicherà la rinuncia della teoria del trauma sessuale), ad interessarsi dei propri sogni e, per estensione, ai sogni in generale. Attraverso l’autoanalisi Freud indaga cosa ha in comune con i suoi pazienti e si colloca nuovamente in quella visione rivoluzionaria rispetto alla medicina tradizionale secondo cui chi indaga è oggetto dell’indagine allo stesso tempo. La data del 4 novembre 1899, attraverso la pubblicazione de L’interpretazione dei sogni, segna la data di nascita della psicoanalisi, definita dallo stesso autore una scienza particolare(cfr. Freud, 1933).[3] Il termine psicoanalisi sembra trarre spunto dalla teoria di Pierre Janet (1859-1947) il quale, intendendo la malattia come risultante da una scissione tra le varie funzioni psichiche, definiva con “analisi psicologia” un processo attraverso cui nel paziente in ipnosi si ottiene una risoluzione per dissociazione delle idee fisse dalle altre attività mentali.

Il sogno perde il suo ruolo passivo e assume per la prima volta importanza; diviene contenuto dotato di logica e, soprattutto, una delle rappresentazioni più fedeli dell’inconscio il quale rimane inconoscibile nella sua totalità ma esplorabile nelle forme derivate. In tale teorizzazione, ogni sogno sottende un desiderio inconscio rimosso che, dopo vari passaggi, viene attuato come rappresentazione di una realtà allucinatoria sognata. Il contenuto latente, attraverso un processo di censura, appare come contenuto manifesto in cui il senso apparente è perduto. Per censura è inteso un meccanismo attraverso cui desideri inconsci vengono soddisfatti nel sogno in una forma mascherata e deformata affinché siano resi accettabili al sognatore e, quindi, non lo portino al risveglio. Tale operazione è formazione di compromesso tra lo svelare e il non svelare, è appagare senza disturbare. Il meccanismo della censura è attivo anche nella veglia ma nel sogno perde vigore e lascia trapelare parte dei contenuti inconsci. Il sogno perde il ruolo di disturbo del sonno attribuitogli dalla scienza passata per divenire il guardiano del sonno. I contenuti inconsci riguardano per lo più desideri sessuali infantili ritenuti socialmente inaccettabili e quindi non espressi nello stato di veglia ma rivissuti in forma diversa nel sogno.

Data tale struttura, sarà fondamentale il racconto dei sogni del soggetto in analisi e l’interpretazione di questi da parte del terapeuta il quale, affrontando non il sogno come è stato sognato ma l’organizzazione di questo in un discorso (ulteriore elemento distorcente), potrà scoprire il desiderio latente sottostante anche attraverso l’attribuzione di significato ai vari simboli (archetipi) contenuti.

Lo stretto legame tra teoria e pratica psicoanalitica viene chiarito dallo stesso Freud, il quale scrive: «Psicoanalisi è il nome: 1-di un procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere; 2-di un metodo terapeutico (basato su tale indagine) per il trattamento dei disturbi nevrotici; 3-di una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convengono in una nuova disciplina scientifica» (1922, p. 439). L’analisi porterà gradualmente alla spiegazione del sintomo, soddisfacimento sostitutivo di un desiderio rimosso ed il cui abbandono provoca angoscia. La metafora archeologica espressa nelle prime teorizzazioni freudiane secondo cui il ricordo potrebbe essere recuperato così come era stato originariamente vissuto lascia spazio al concetto di ricostruzione, per cui il paziente in analisi non ricorderà semplicemente il passato ma lo modificherà aggiungendo preziosi elementi da indagare e approfondire. L’impresa di curare, come educare e governare, rimarrà comunque impossibile nella sua totalità.

Attraverso il principio di determinazione (niente avviene per caso ma una causa inconscia sottostante può fornire spiegazioni plausibili alla più folta schiera di fenomeni) si delinea la malattia come riscontrabile all’interno di tutte le attività umane e una conseguente perdita di distinzione netta tra patologia e salute. Pertanto, la psicoanalisi si occuperà dei settori più disparati: «L’applicazione di tale metodo [psicoanalitico] non è affatto confinata al campo dei disturbi psicologici, ma si estende anche alla soluzione di alcuni problemi negli ambiti dell’arte, della filosofia e della religione. In tale direzione la psicoanalisi ha già prodotto parecchi punti di vista nuovi e si è rivelata in grado di fornire delucidazioni preziose su temi come la storia letteraria, la mitologia, la storia delle civiltà e la filosofia delle religioni» (Freud, 1918, p. 35).

Prendendo spunto dalla psichiatria dinamica, fino all’anno 1920 la teoria freudiana si baserà su una concezione dinamica dei processi cerebrali, in cui l’interesse è centrato sulle forze agenti sulla psiche; tale prima topica (definizione freudiana che sottende il concetto di teoria basata sulla struttura dell’apparato psichico) comprende il concetto di inconscio, preconscio e conscio. Le leggi che regolano i processi nell’inconscio sono determinate dal processo primario (regolato dal principio di piacere) mentre nel preconscio e nel conscio domina il processo secondario (regolato dal principio di realtà). Con il termine pulsione Freud indica la rappresentazione psichica del bisogno, diversa dall’istinto, la quale può avere bersagli (intesi come obiettivi a cui tendere) diversi nel tempo. Le pulsioni fondamentali sono rappresentate dall’atto di mangiare e dall’atto sessuale.

Dopo il 1920 la prima topica perderà di centralità per lasciare spazio alla seconda topica, centrata sui concetti di Es, Io e Super-Io. Mentre l’Es (pronome neutro singolare) è il patrimonio ereditario e sede di origine delle pulsioni, l’Io viene incaricato di conoscere e valutare gli stimoli esterni ed interni e rappresenta ciò che l’individuo ha sperimentato di persona, quali eventi accidentali ed attuali. L’Io, concetto psicoanalitico alquanto complesso, è una formazione altamente difensiva incaricata di vagliare le rappresentazioni psichiche inconsce e di non farle esprimere nel caso che possano essere disturbanti per il normale flusso dominante. L’Io funge da filtro tra mondo esterno e mondo interno funzionando anche in base alle continue richieste avanzate dal Super-Io il quale, durante l’infanzia, si sviluppa dall’Io. Il Super-Io è un’istanza prevalentemente censoria che comprende la coscienza morale, l’autoconservazione e la formazione di ideali; nasce come introiezione dell’influenze dei genitori e di altre persone rappresentanti il sistema di valori e divieti mutuati dall’ambiente sociale. L’Io si sviluppa dall’Es (unica entità presente alla nascita) a causa dell’influsso del mondo esterno. Collegando prima e seconda topica, l’Io e il Super-Io possono essere consci, sono spesso preconsci e, più frequentemente, inconsci; l’Es esiste soltanto come forma inconscia.

L’unione della struttura dell’apparato psichico (punto di vista topico) con le forze che agiscono sulla psiche (punto di vista dinamico) e con l’energia che circola nella psiche (punto di vista economico) costituiscono la metapsicologia, lo studio dei principi teorici e delle ipotesi della psicoanalisi.

Mosso dal vasto numero di casi in cui si propone una costante coazione a ripetere, nel 1920, tramite Al di là del principio di piacere (1920) Freud affianca, accanto alla pulsione di vita, l’opposta pulsione di morte. Tale nuova pulsione viene dotata di un’energia superiore alle altre, al fine di poter spiegare eventi alquanto particolari come la dolorosa ripetizione di nevrosi di guerra. Mentre le pulsioni di vita rappresentano il lavoro compiuto da Eros per mantenere l’equilibrio dell’essere vivente, la pulsione di morte – Thanatos – spinge l’organismo all’annientamento. Tale concetto, il quale nella teoria freudiana non godrà di un imponente risvolto clinico, sarà ripreso e fatto colonna teorica portante da Melanie Klein (1882-1960).

 

La psicoanalisi oltre Freud

La psicoanalisi freudiana si sviluppò quasi esclusivamente all’esterno del mondo universitario e permettendo le associazioni soltanto tra uno stretto giro di persone. Tale clima condusse inevitabilmente a creare dissenzi che, visti come altamente pericolosi per la stabilità costituzionale della società psicoanalitica, furono condannati da Freud e dagli stretti sostenitori alla stregua di vere e proprie posizioni eretiche. Negli anni 1911-1913 i dissenzi di Carl Gustav Jung (1875-1961) e Alfred Adler (1870-1937) maturati nei confronti della scuola freudiana portarono questi due personaggi al distacco da tale teoria e alla costituzione di due rispettive teorie alternative a quella originale presa come base di partenza. Tali personaggi furono etichettati duramente da Freud il quale li giudicò al pari di coloro che, in analisi, sfuggono davanti all’interpretazione corretta fornita dall’analista ma troppo dolorosa da accettare (Freud, 1914). Altre persone (di seguito citate) ampliarono la prospettiva psicoanalitica rimanendone all’interno e trattando in particolar modo di temi riguardanti lo sviluppo; l’interesse si spostò dalla vita adulta all’infanzia e al tema della nascita psicologia con la conseguente necessità di codificare le linee generali per un’osservazione diretta di questa fase, fino ad allora vissuta soltanto sotto forma di tracce del passato da identificare nel paziente adulto in analisi. Gli autori psicoanalitici successivi a Freud che si dedicano allo sviluppo spostano l’attenzione dall’Edipo al ruolo della madre nel periodo pre-edipico; tale operazione cambia l’ottica di indagine a favore di una focalizzazione sulle prime fasi vitali e sulla relazione madre-bambino.

Il 20 aprile 1914 Jung si dimette definitivamente dalla carica di Presidente dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale. Nato in Svizzera e laureato in medicina, nutrì profondo interesse per opere di parapsicologia e spiritismo. Di notevole importanza in campo psicologico riveste la tecnica delle associazioni verbali libere da lui impostata e consistente in una lista di termini a cui il paziente deve associare altri termini permettendo una analisi in base al tipo di risposta e al tempo impiegato per rispondere.

L’opera junghiana risente in modo sostanziale del rifiuto dell’etichettatura psichiatrica e dell’interesse per il paziente vissuto e giudicato nella sua individualità a cui dar pieno ascolto e rispetto. Il netto distacco dalla psicoanalisi nasce dal rifiuto della teoria sessuale dell’origine delle nevrosi; la libido non viene intesa più solo come energia sessuale ma come energia psichica generale. Mutua dalla psicoanalisi il nuovo modo di rapportarsi alla malattia mentale, dove diviene centrale la dimensione psicologica.

La teoria junghiana viene definita dallo stesso fondatore “psicologia analitica”. In tale teoria la psiche è divisa in quattro funzioni (pensiero, sentimento, sensazione, intuizione) e in due atteggiamenti fondamentali (introversione ed estroversione); in ogni individuo domina un atteggiamento e una funzione, le restanti operano a livello inconscio.

Oltre all’inconscio come visto dalla psicoanalisi (chiamato “inconscio personale” dalla psicologia analitica) esiste l’ “inconscio collettivo”, una formazione ereditaria che contiene riferimenti mitologici e archetipi, forme rappresentanti immagini primordiali sotto forma di disposizioni. Gli archetipi sono riscontrabili ad esempio nei sogni, nell’immaginazione, nei miti, nelle fiabe e nell’opere d’arte. L’Io è la parte cosciente dell’inconscio e il termine “persona” denota la forma in cui l’individuo appare in pubblico. Il Sé è la meta a cui aspira la psiche individuale.

L’attrazione passionale viene spiegata in base al concetto di uomo come insieme di parti maschili (Animus) e femminili (Anima); in ogni uomo c’è una parte di donna e viceversa. L’attrazione nasce dalla immagine inconscia della parte non dominante proiettata sull’altro e quindi meta da raggiungere. Altre differenze della psicologia analitica nei confronti della psicoanalisi sono l’assenza della predeterminazione della vita psichica (presente in Freud come fasi che le persone affrontano nell’infanzia) e l’adozione di un metodo terapeutico in cui c’è continua modificazione di ruolo tra analista e paziente.

Adler è considerato il maggior fautore della psicologia individuale la quale trovò gran applicazione negli Stati Uniti. Partendo da una concezione sociale della vita psichica, operò negli anni ’20 a Vienna occupandosi soprattutto di problemi concreti come quelli inerenti il campo scolastico. Secondo Adler lo sviluppo può essere concepito partendo dal concetto di “Sé creativo”, una forza che preme verso l’allontanamento da uno stadio iniziale di inferiorità organica e psicologia in favore della formazione della propria personalità.

Passando a chi dalla teoria psicoanalitica non si distaccò e avvicinandoci ad una prospettiva evolutiva, Anna Freud (1895-1982) è stata la prima psicoanalista ad avvicinarsi al tema dell’infanzia. Figlia di Sigmund Freud, basa la sua opera su un punto di vista pedagogico dove la distinzione bambino-adulto è fondamentale ed imprescindibile. Avendo dato ampio risalto all’importanza delle funzioni dell’Io, la prospettiva da A.Freud coniata prende il nome di “psicologia dell’Io”. Secondo tale ottica l’osservazione diretta del bambino è di centrale importanza per poter comprenderne l’evoluzione e i problemi derivati; l’adattamento psicologico è la chiave dello sviluppo. Non essendoci in tale prospettiva l’esistenza di una effettiva relazionalità tra bambino e psicoanalista, non esiste un vero e proprio transfert e quindi è impossibile l’analisi di bambini nella primissima infanzia.

All’opposto di A.Freud, Melanie Klein concepisce la relazione con l’altro necessariamente transferale sin dall’infanzia. Tale posizione la porterà, con il raffinarsi della sua teoria, ad un progressivo distacco dalla scuola originaria di matrice freudiana. Non essendo possibile una vera e propria analisi basata sul discorso, l’autrice introduce l’osservazione del gioco come innovazione che permette l’analisi delle fantasie del bambino le quali sono preesistenti alla strutturazione psichica. Secondo tale teoria, il bambino in un primo momento vive l’ansia di una posizione ambivalente nei confronti del seno materno che non sempre è presente. Vedendo tale oggetto come persecutore e scisso, esistendo già all’origine la pulsione di morte e dovendosi salvare dal conflitto instauratosi tra istinto di morte e istinto libidico (oggetto che allatta assente e oggetto presente), il bambino inizialmente scinderà gli oggetti buoni da quelli cattivi attraversando la fase schizoparanoide caratterizzata dalla presenza dell’angoscia primaria. Tale aspetto denota l’importanza che la teoria assegna a questa fase orale precoce che dimostrerebbe l’esistenza sin dalla nascita del Super-Io. Quando il bambino riconoscerà che l’oggetto cattivo (seno assente) e l’oggetto buono (seno presente) sono la stessa cosa proverà la paura di aver danneggiato l’oggetto buono; attraverso l’esperienza della frammentazione il bambino arriva a concepire l’oggetto totale ed entra nella posizione depressiva in cui prevale il senso di colpa per aver odiato l’oggetto buono.

Tale operazione si concluderà con lo svezzamento il quale segnerà la perdita definitiva del seno materno. Con la fase depressiva il bambino muta la paura per l’oggetto cattivo nella paura di aver danneggiato l’oggetto buono che adesso riconosce essere la stessa cosa. La non risoluzione della posizione schizoparanoide sarà nella teoria kleiniana la causa da porre alla base dell’insorgenza di patologie psicotiche. Non esiste l’estinzione completa delle due posizioni (schizoparanoide e depressiva) ma entrambe possono riattivarsi ogniqualvolta il bambino si trovi ad affrontare esperienze particolarmente frustranti connesse soprattutto al suo sviluppo fisiologico. L’evoluzione diviene così caratterizzata dalla successione di posizioni schizoparanoidi risolte da posizioni depressive.

Spetta a Margaret Mahler (1897-1986) il merito di aver ampiamente contribuito alla sistematizzazione in campo sperimentale dell’osservazione infantile. Tale autrice interpreta lo sviluppo psichico ad un livello stadiale come susseguirsi di tre fasi principali: la fase autistica (primo mese di vita) in cui il bambino vive l’esperienza della chiusura nei confronti del mondo, la fase simbiotica (fino al settimo-ottavo mese di vita) caratterizzata dalla fusione allucinatoria e onnipotente con la rappresentazione della madre e la fase di separazione-individuazione (fino al terzo anno) attraverso cui il bambino raggiungerà la propria identità.

La carenza delle cure materne è stata osservata in una prospettiva psicodinamica da John Bowlby (1907-90) il quale ha ipotizzato essere la privazione materna causa scatenante vissuti di lutto che si manifestano attraverso tre momenti susseguenti: la protesta, la disperazione e il distacco. L’attaccamento viene interpretato da Bowlby come presente in tutte le specie del mondo animale e proporzionale al bisogno di cure necessarie per sopravvivere.

All’interno del movimento delle relazioni oggettuali, situato a metà strada fra freudiani e kleiniani e così definito perché formato da persone che si interessarono delle rappresentazioni psichiche delle relazioni con persone (“oggetti” nel gergo psicodinamico) costituitesi come fondamentali nella primissima vita psichica individuale, ebbe un ruolo fondamentale Donald W. Winnicott (1896-1971). Psicoanalista inglese, laureato in medicina e specializzato in pediatria, lavorò per quaranta anni all’ospedale Paddington Green di Londra dove ebbe modo di formarsi una vastissima esperienza come pediatra e come psichiatra infantile. Winnicott è stato uno dei pochi psicoanalisti a prendere in analisi pazienti psicotici e a modificare pesantemente il setting analitico per poter supportare al meglio l’esigenze di tale tipologia di persone. Interessatosi alla primissima infanzia e alla dipendenza caratteristica di questo periodo, focalizzò la sua attenzione sui processi maturazionali e sul ruolo materno, coniando il concetto di madre sufficientemente buona (good-enough mother), una donna normale nelle sue caratteristiche salienti e dotata di istinto materno.

Il ruolo della madre trattata da Winnicott è riassumibile nella funzione protettiva offerta al figlio nei confronti dell’ansia primitiva; l’illusione dell’onnipotenza infantile sarà conservata dalla madre fino a quando il bambino non avrà gli strumenti per poter affrontare la relativa disillusione caratteristica del riconoscimento della realtà del mondo esterno alla diade madre-infante. L’oggetto transizionale è lo strumento che aiuterà il bambino a colmare il vuoto tra interno ed esterno e ad affrontare l’assenza materna. La ricerca delle origini del disagio mentale porterà alla formulazione della distinzione e della relativa teoria del vero e falso Sé.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

- Breuer, J., Freud, S. (1892-95). Studi sull’isteria. In Opere: vol.1. Torino: Boringhieri.

- Freud, S. (1901). Psicopatologia della vita quotidiana. In Opere: vol.4. Torino: Boringhieri.

- Freud, S. (1905). Tre saggi sulla teoria sessuale. In Opere: vol.4. Torino: Boringhieri.

- Freud, S. (1908). Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (caso clinico del piccolo Hans). In Opere: vol.5. Torino: Boringhieri.

- Freud, S. (1913). Inizio del trattamento. In Opere: vol.7. Torino: Boringhieri

- Freud, S. (1914). Per la storia del movimento psicoanalitico. In Opere: vol.7. Torino: Boringhieri.

- Freud, S. (1916). Una difficoltà della psicoanalisi. In Opere: vol.8. Torino: Boringhieri

- Freud, S. (1918). Bisogna insegnare la psicoanalisi all’università?. In Opere: vol.9. Torino: Boringhieri.

- Freud, S. (1920). Al di là del principio del piacere. In Opere, vol.9. Torino: Boringhieri.

- Freud, S. (1922). Due voci di enciclopedia: «psicoanalisi» e «teoria della libido». In Opere, vol.9. Torino: Boringhieri.

- Freud, S. (1923). Breve compendio di psicoanalisi. In Opere: vol.9. Torino: Boringhieri.

- Freud, S. (1927, poscritto). Il problema dell’analisi condotta da non medici. In Opere: vol.10. Torino: Boringhieri

- Freud, S. (1933). Introduzione alla psicoanalisi. In Opere: vol.11. Torino: Boringhieri

- Recalcati, M. (1996). Introduzione alla psicoanalisi contemporanea; i             problemi del dopo Freud. Milano: Bruno Mondadori.

- Vegetti Finzi, S. (1990). Storia della psicoanalisi. Autori opere teorie             1895-1990 (1 ed. Oscar saggi). Milano: Mondadori.

 


[1] Riguardo il pensiero di Darwin, Freud ammette di essere stato ampiamente condizionato da questo per la scelta degli studi di medicina, cfr. S.Freud, Autobiografia (1924), Opere, vol.10.

[2] L’inconscio assume denotazioni simili a quelle utilizzate per descrivere la femminilità, cfr. S.Vegetti Finzi, Storia della Psicoanalisi, p..23: «…le caratteristiche attribuite, di volta in volta, alla femminilità – irrazionalità, sessualità, fantasia, creatività, inconsapevolezza – sono le stesse che Freud riprenderà, in forma organizzata, nel modello di inconscio, sul quale poggerà il suo edificio teorico e la sua prassi terapeutica».

[3] In realtà la psicoanalisi verrà recepita per gran parte come una nuova visione del mondo e, come tale, amata o odiata.

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Figlia lenta e distratta

Buongiorno
La contatto per avere un consiglio su mia figlia di 8 anni. Sin da quando ha iniziato la scuola dell'infanzia, le insegnanti mi hanno riferito che era molto educata ma timida, introversa e un po' frenata, spesso si lasciava trascinare dalla sua amichetta e non tirava fuori la sua personalità.
All'inizio della scuola primaria c'è stato un cambiamento improvviso, l'insegnante mi ha riferito di una bambina sempre introversa, molto lenta e spessa distratta, che non partecipava se non dietro sua sollecitazione, ma che partecipava comunque al chiacchiericcio generale contribuendo così a disturbare la lezione. La cosa mi ha molto sorpreso, ne ho parlato con lei e la risposta che ho avuto è stata: mamma i buoni sono tonti ed io non voglio esserlo. Ho dovuto lavorare molto su questo aspetto e alla fine è tornata a essere una bambina educata. Rimane il problema della lentezza, è migliorata anche qui, ma ogni volta che vado al colloquio con l'insegnante mi viene sottolineato questo aspetto.

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