Significati generali del termine “Sé”
Varie discipline nel tempo si sono occupate del concetto di “Sé”. Essendo tale argomento ampiamente trattato, oltre che in campo psicologico-psicoanalitico anche in campo filosofico, ed avendo assunto all’interno dei singoli orientamenti significati non sempre equiparabili, al momento manca una definizione univoca del termine.
Distinguendo tre campi principali entro cui viene trattato il Sé, possiamo affermare che «esiste un Sé psicoanalitico, un Sé nello sviluppo, un Sé biologico e immunologico» (Ammaniti, 1989, p. 1).
In generale, il Sé denota per le diverse prospettive storico-culturali un artefatto che permette di caratterizzare l’unicità, l’individualità e la specificità dell’essere umano riconosciuto nelle sue componenti biologiche e psicologiche.
Nonostante una riflessione filosofica possa essere del tutto degna di nota, la nostra breve analisi introduttiva si articolerà all’interno dell’ambito psicologico e, in particolare, psicoanalitico. Tale scelta non ha la pretesa di coprire ogni aspetto del Sé ma si pone come linea guida verso la comprensione del significato di Sé come inteso da Winnicott, ovvero una pura esperienza soggettiva che non implica il riferimento a strutture oggettive.
Nondimeno, affrontando questo «piccolo mostro semantico con tante teste» (Jervis, 1989, p. 50), la tradizione filosofica accompagnerà il nostro percorso ricordandoci che, oltre ad essere celato all’analisi pubblica, l’introspettiva ricerca del Sé si pone all’interno del paradosso formulato da Hume (1746): «Il Sé che io cerco è il Sé che cerca, cosicché sembra impossibile avere un contatto introspettivo con me stesso» (cit. in Harré, 1998, p. 116).
Generalmente, e soprattutto in psicoanalisi, il termine Sé può essere utilizzato con due distinti significati. Come primo aspetto, “Sé” denota un vissuto soggettivo che indica l’esperienza e l’immagine dell’autocoscienza; in tali termini, viene caratterizzato dalla forma esperenziale e fondato sull’insieme delle rappresentazioni individuali aventi per oggetto la propria esistenza psicocorporea e relazionale. In quest’ottica il concetto di Sé non può avere un significato unificante e risponde al bisogno esistenziale umano di pensarsi in maniera unitaria e continuativa. La concezione winnicottiana del Sé appartiene a questa prospettiva. Secondariamente, il Sé può venire interpretato come struttura psichica a cui vengono attribuite determinate funzioni; l’introspezione diviene mezzo per oggettivare un’esperienza soggettiva in qualcosa di esistente, anche sotto forma di oggetto scientifico, ad esempio una funzione psichica, o spiritualistico e astratto come l’anima. Il Sé assume in questo secondo caso un significato strutturale determinato dal ruolo di realtà scientificamente o religiosamente connotata.
Fondamentale per instaurare relazioni interpersonali, in cui diviene necessaria la distinzione Sé-Altro, i vari punti di vista possono venire riassunti in due grandi scuole di pensiero: chi ritiene che il Sé sia presente sin dalla nascita e chi invece ipotizza che si tratti di una costruzione sociale (Bombi & Pinto, 2000). Di certo, in entrambi i casi è impossibile negare che ogni individuo risente in gran parte di tutto quanto è derivato dalle relazioni sociali come, in particolare, l’uso di un linguaggio condiviso o particolari atteggiamenti propri della comunità in cui vive.
Il problema delle molteplici forme e dei molteplici significati che vengono attribuiti al Sé viene affrontato da Rom Harré (1998), all’interno di una teorizzazione situata tra la psicologia discorsiva e la psicologia culturale, scomponendo tale concetto in tre parti ben distinte: il Sé1, il Sé2 e il Sé3.
Per Harré (Ibidem) il Sé è una finzione grammaticale necessaria nei discorsi relativi alle persone ed un luogo dal quale percepire il mondo e da cui agire che si caratterizza come sintesi di diverse identità alternantesi all’interno dei molteplici rapporti interpersonali e sociali. Nonostante venga suddiviso per un approccio più lineare, distaccandosi dalle teorie recenti il Sé non viene più visto come elemento frammentato ma come nucleo psichico finalizzato al coordinamento e all’integrazione dei processi psichici. Il Sé1 rappresenta il senso di dove siamo collocati, come persona, all’interno dell’ambiente sociale e coincide con l’individualità; il Sé2 costituisce il senso che si ha di noi come qualcosa che possiede un insieme unico di attributi; il Sé3 rappresenta l’insieme delle impressioni che una persona produce su un’altra persona relativamente alle proprie caratteristiche personali.
Seguendo questo discorso, il Sé1 denota il senso che una persona ha di sé ed è unico, tranne che nelle patologie, il Sé2 è la totalità degli attributi di una persona incluse le credenze su sé stessi ed il Sé3 simboleggia il tipo di persona che siamo considerati dagli altri . Il Sé2 ed il Sé3 possono essere molteplici, visto che «mentre nello spazio si può avere un unico Sé, poiché esiste in un solo corpo, nel tempo la persona può avere e ha molti Sé» (Harré, 1998, p. 190) considerato nondimeno che esistono vari Sé3 chiamati in causa in occasioni diverse e nei dialoghi con persone diverse. La persona è in questa cornice teorica rappresentata attraverso il simbolismo algebrico: Persona {SĖ1, SĖ2, SĖ3}.[1]
Prendendo spunto dal quesito delle molteplici forme che può assumere il Sé, Bombi e Pinto (1993, p. 211 ss.)[2] hanno indagato come il modo in cui un bambino raffigura graficamente se stesso sia sempre uguale oppure muti al mutare del contesto relazionale. Per poter analizzare ciò, è stato chiesto ai soggetti della ricerca[3] di disegnare loro stessi di volta in volta insieme a due persone distinte, un disegno con ogni persona. Sono state così ottenute coppie di disegni in cui poter analizzare se il modo in cui il bambino si rappresenta muta oppure resta stabile.[4]
Come da aspettative, è emersa una «struttura mobile di personalità» (Ivi, p. 230) caratterizzata dal fatto che il disegnatore, nonostante sia sempre ben identificabile, muta evidentemente il modo con cui si rappresenta a seconda della figure con cui si relaziona, ovvero di fronte ad amici e nemici, con l’amico o con il nemico, con l’amico o con il fratello. Tale studio ha il merito di aver preso in esame, mediante una procedura idonea allo stadio psicoevolutivo dei soggetti, variazioni «locali» (Ivi, p. 213) dell’immagine del Sé e non le «trasformazioni di lungo periodo» (Ibidem) ricorrenti negli studi classici.[5]
Il problema della molteplicità delle forme del Sé rinasce ai nostri giorni in ragione dell’avvento dei nuovi media e delle nuove tecnologie. Avviandosi verso un futuro in cui auspicabilmente sarà costantemente più presente la realtà virtuale intesa come possibilità di creare mondi alternativi a quello reale, il problema delle identità fittizie che ogni persona può assumere in queste simulazioni diviene di interesse centrale. Nonostante tecnologicamente oggi si sia ancora ben lontani da poter permettere ad un gran numero di persone di vivere un’esperienza virtuale in ambienti non reali, è indiscutibile che la diffusione esponenziale e capillare che ha caratterizzato Internet[6] in questi ultimi anni ha permesso sempre più alle persone di esperire identità fittizie, a volte assumendo anche una personalità di sesso opposto, tramite ambienti virtuali di scambio quali chat-room,[7] gruppi e forum di discussione.
Tale opportunità è rafforzata dalla possibilità di mantenere l’anonimato ed è altamente riscontrabile nell’uso che viene fatto dell’e-mail.[8] Tramite questi artefatti tecnologici, le persone possono esternare desideri e aspirazioni personali attraverso la creazione di Sé possibili da condividere con gli altri, ovvero tramite l’espressione di «potenzialità, aspirazioni, paure che sono in larga parte sottratte sia alla verifica empirica che al controllo sociale» (Mantovani, 1995, p. 205).
Il concetto di Sé in psicoanalisi
Cambiando sistema di riferimento e riprendendo il problema dell’identificazione del significato del termine “Sé”, in campo psicoanalitico risulta assai complesso rintracciare definizioni univoche e precise di tale termine;[9] fondamentalmente, in questo ambito “Sé” può denotare una struttura della mente, la totalità bio-psichica della persona o la dimensione soggettiva dell’esperienza (Ammaniti, 1989).
Il raro uso all’interno della teorizzazione freudiana del termine tedesco Selbst, traduzione dell’italiano “Sé”, rivela la concezione materialistica della natura umana propria di tale autore, dove l’equivalente del Sé viene connotato come essenza piuttosto che esperienza e non assume le forme empiriche e spirituali attribuitegli da altre correnti di pensiero.
Jervis (1989), sostenendo che Winnicott è «il primo psicoanalista freudiano che introduce, fin dagli anni ’40, il concetto di “self”, in più attribuendogli un ruolo importante nella propria teorizzazione» (Ivi, p. 27) supporta implicitamente l’idea dell’assenza del concetto di Selbst in Freud.
Tale visione dell’opera freudiana in cui non è presente il concetto di Sé, tranne che in sporadiche occasioni, è criticata da Rossati (1990), il quale, sostenendo che il Sé non è un concetto tardivo della psicoanalisi, tenta di dimostrare che Freud utilizzò il termine Ich (Io) per indicare sia l’Io che il Sé senza creare confusione o malintesi. Seguendo tale argomentazione, il termine Sé sarebbe stato sottinteso dal padre della psicoanalisi per riferirsi alla persona come oggetto, mentre il termine Io per la persona come soggetto. Pertanto per Rossati l’assenza del termine specifico Selbst in Freud si spiegherebbe con la sua sostanziale estraneità allo spiritualismo insito nel concetto tedesco di Selbst quale essenza interiore.
D’altro canto, in realtà Freud in Introduzione al narcisismo (1914) aveva sottolineato la natura distinta dell’Io dal Sé e il carattere libidico dell’Io il quale viene alimentato da investimenti pulsionali originariamente orientati verso l’immagine del proprio corpo assunta come oggetto libidico; in quest’ottica, tale investimento organizza l’economia di una libido narcisistica coesistente con la libido oggettuale che caratterizza gli investimenti pulsionali in direzione degli oggetti.[10]
Diversamente, in Winnicott possiamo ritrovare esplicato il rapporto che intercorre tra Io e Sé all’interno della propria visione teorica. Secondo tale autore «Non esiste l’Id prima dell’Io»[11] (Winnicott, 1965, p. 67) e, inoltre, «l’Io si presenta e può essere studiato molto tempo prima che la parola Sé assuma importanza» (Ibidem). Inoltre e anche se indirettamente, è possibile ritrovare la distinzione Io-Sé in un altro rilevante passaggio:
«Nel contesto che sto esaminando, le pulsioni non sono ancora definite chiaramente come interne per il lattante e possono essere altrettanto esterne di un colpo di tuono o di una percossa. L’Io dell’infante sta acquisendo forza ed avviandosi di conseguenza verso una condizione in cui le richieste dell’Id verranno sentite come parti del Sé, e non come ambientali. Quando questo passo sarà compiuto, la soddisfazione dell’Id costituirà un rafforzamento molto importante dell’Io o del vero Sé; ma le eccitazioni dell’Id possono essere traumatiche quando l’Io non è ancora capace di accogliere, né di controllare, i rischi impliciti e le eventuali esperienze di frustrazioni fino al momento dell’effettiva soddisfazione istintuale» (Winnicott, 1965, p. 179)
Nonostante tale passo sia stato scritto dall’autore per focalizzare il ruolo dell’Id nello sviluppo psichico, anche da questa citazione possiamo dedurre come Winnicott consideri il Sé distinto dall’Io e maturante di pari passo con questo durante l’evoluzione del bambino.[12]
Il pensiero psicoanalitico, il quale inizialmente ruotava attorno all’asse dell’evoluzione psico-sessuale, negli anni ’70 si focalizza sui processi centrati nella figura dell’altro inteso come identità relazionale in cui divengono fondamentali i concetti di transfert e di Sé.
All’opposto dell’ortodossia psicoanalitica classica, l’importanza del Selbst viene rivendicata da Carl Gustav Jung per il quale diviene l’archetipo fondamentale, la somma di tutti i fenomeni psichici e meta, non sempre raggiunta, cui aspira la psiche individuale. Comprendendo sia una parte inconscia che una parte conscia, il Selbst in Jung è un concetto empirico rappresentante l’individuazione e la differenziazione della propria personalità, rintracciabile nei sogni, nelle favole e nei miti sotto forma di immagine di “personalità di grado superiore” quali eroe, re o profeta, oppure “simbolo della totalità” sotto forma ad esempio di cerchio, quadrato o croce.
Nell’ambito della psicologia dell’Io, Heinz Hartmann (1950, 1956) riprende la critica riguardo l’impiego generico e non differenziato del concetto di Ich (Io) in psicoanalisi e distingue l’Io dal Sé ponendoli in autonomia l’uno rispetto all’altro; attribuisce all’Io il ruolo di struttura mentale incaricata di gestire la relazione con l’ambiente ed al Sé la funzione di rappresentante dell’esperienza di essere entità soggettiva e globale come persona ed essere vivente.
Per Hartmann (1952) l’Io è una struttura in contrapposizione alle altre strutture freudiane, Es e Super-Io, e distinta dagli oggetti delle dinamiche libidiche; quindi, in tale prospettiva, è più corretto parlare di investimento libidico del Sé e non dell’Io (Hartmann, 1950, 1956). Come teorizzato in generale da altri autori appartenenti alla psicologia dell’Io, anche in Hartmann (Ibidem) l’Io costituisce la parte del soggetto capace di strutturare una relazione a-libidica con il mondo esterno, mentre il Sé diviene la parte soggettiva suscettibile di essere libidizzata. In questo senso, la libido narcisistica riguarda il concetto di Sé; mentre la struttura dell’Io dipende dall’ereditarietà in quanto caratteristica della specie umana e si sviluppa secondo un programma filogenetico di tipo naturalistico, il Sé può essere considerato come il risultato delle relazioni libidiche con gli oggetti e, in particolare, con l’oggetto-madre.
Ciò che la psicologia dell’Io si era proposta di separare, il Sé dall’Io, e l’Io dall’investimento libidico, viene nuovamente unito da Otto Kernberg (1976) il quale include la rappresentazione del Sé nel sistema Io; secondo tale autore, considerando la somma delle parti totali del Self come costituente un’unità specifica, si compie un’operazione di riunificazione dell’Io col Self propria della concezione freudiana originaria sopra menzionata.
Soffermandosi nel campo delle relazioni oggettuali, Edith Jacobson (1964) recupera il pensiero originario di Hartmann e aggiunge la distinzione del Sé come persona suscettibile di essere investita dalla libido, di divenire cioè oggetto narcisistico, e la rappresentazione intrapsichica del Sé, cioè la rappresentazione del Sé corporeo e mentale nel sistema dell’Io. Secondo tale prospettiva, lo psicotico non raggiungerebbe, tramite la sua evoluzione psicologica, la costituzione di questa rappresentazione intrapsichica del Sé e, di conseguenza, vivrebbe costantemente l’esperienza della non identità e della frammentazione, aspetto che in Winnicott assume la forma di mancanza della continuità dell’essere. Oltre all’importante differenziazione tra Sé come altro e Sé come oggetto, recuperando Freud l’Io diviene nuovamente oggetto primario di investimento libidico.
All’interno della psicologia evolutiva la Jacobson (Ibidem) propone un’origine caratterizzata dalla condizione di indifferenziazione tra il Sé e l’oggetto, concetto presente anche in Margaret Mahler (1968), e, inoltre, teorizza un Sé primario di natura neurofisiologica che si caratterizza come esperienza vissuta del crescere e del decrescere delle tensioni corporee; la nascita del Sé viene distinta in una prima fase psicofisiologica, i primi mesi di vita, ed in una successiva fase del “Sé mentale” in cui si cristallizzano le rappresentazioni psichiche di sé e degli altri.
Nella società americana degli anni ’70, ampiamente lontana da quella europea in cui maturarono la scuola freudiana e gran parte delle dottrine derivate, aumenta sostanzialmente la distanza tra gli adulti ed i bambini; la solitudine del bambino tipica della nuova società viene ritenuta diretta responsabile, al posto della tradizionale patologia edipica, di un intenso disturbo narcisistico della personalità.
Nella psicologia americana il Sé si avvicina particolarmente all’esperienza clinica e assume una forma intermedia tra il vissuto psicologico e il comportamento sociale.
Heinz Kohut (1971), esponente della scuola di pensiero della psicologia del Sé, focalizza la sua riflessione sul ruolo delle relazioni sociali; nonostante all’inizio cerchi di allinearsi alla dottrina freudiana, ben presto il ruolo del Sé diviene sempre più centrale nel suo pensiero.
Il Sé in Kohut si denota più come struttura che come entità ed è colto sin dalla nascita, anche se strutturato diversamente dalla vita adulta, grazie al fatto che il bambino viene considerato dalla madre e da tutte le persone del suo ambiente come dotato di Sé. Viene così riconosciuta l’esistenza di un Sé passivo che si affermerà autonomamente soltanto tramite l’empatia materna in grado di accogliere le richieste infantili sovraccaricando il Sé del bambino di un investimento narcisistico essenziale. Da questo potenziamento del Sé all’interno dello scambio diadico derivano le configurazioni del Sé grandioso e della imago parentale idealizzata, ciascuna generatrice di differenti costellazioni narcisistiche. Qualora venga a mancare la corrispondenza empatica, lo sviluppo infantile si fisserà ed il bambino, al posto di sperimentare la gioia derivata dall’esperienza di un Sé intero, passerà attraverso la disintegrazione e la frammentazione del proprio Sé per fissarsi, difensivamente, su una misera parte dell’esperienza psicologica in toto. In condizioni normali il Sé si trova in una situazione di dispersione in cui però viene difeso da un’aggressività non distruttiva che può trasformarsi, se manca il supporto dell’altro, in vergogna e rabbia distruttiva. I disturbi pulsionali dell’Io vengono considerati come la conseguenza del crollo prematuro di un Sé grandioso arcaico.
Come riscontrabile anche in Winnicott (1953, 1965), nella teoria di Kohut (1971) ritroviamo una frammentazione originaria che richiede un rimedio narcisistico: la costruzione della fantasia grandiosa come correlato psichico del Sé grandioso-esibizionista.
Diversamente dalla psicologia dell’Io, dove l’Io rimane distinto dalla dimensione degli investimenti oggettuali, per la psicologia del Sé la vita psicologica è concepita sin dalla sua origine come un rapporto tra il Sé e l’oggetto Sé, ovvero quegli oggetti, originariamente rappresentati dagli altri parentali e in seguito interiorizzati, che esercitano la funzione di supporto narcisistico nel processo di formazione dell’identità del Sé. In tale ottica dunque non esiste un’autonomia primaria del Sé il quale, all’opposto, necessita di coesione in ragione di un suo deficit strutturale.
Kohut (Ibidem) distingue una funzione speculare del Sé, svolta dall’oggetto Sé materno e che guida il senso di grandezza e di perfezione del bambino, e una idealizzante, sostenuta dall’oggetto Sé paterno che fornisce al Sé del bambino un ideale da prendere a modello.
Nella tradizione anglosassone il termine Sé viene tradotto con il pronome riflessivo Self il quale esprime un modo empiristico di rappresentarsi e di relazionarsi alla realtà, sia quella del proprio mondo interiore che quella socialmente condivisa. In questo caso, il Sé è un vissuto e non un’essenza. Un esempio lampante di tale affermazione è riscontrabile in Locke per cui il Sé è il modo in cui ciascuno considera se stesso e oggettiva tale esperienza in qualcosa chiamato “Sé”: «ciascuno è per lui stesso ciò che egli chiama self» (cit. in Jervis, 1997, p. 108).[13] Il Sé, inteso come sentimento di identità, arriva all’estremo ad identificarsi con ciò che chiamiamo “coscienza”.
Il concetto di Sé in Winnicott
Come già riscontrato in Kohut, anche per Winnicott il Sé origina solamente da una condizione in primumdi frammentazione della struttura psichica del bambino e da uno stato di reciproca corresponsione di questo con la madre; l’altro è un altro in cui trovare una risposta positiva e non frustrante, che rassicura e che dà al soggetto un senso di unità e di individualità; se tale esperienza non incontrerà ostacoli, allora condurrà naturalmente «all’istituzione nell’individuo di un Sé che ha un’esistenza continua, che acquisisce un’esistenza psicosomatica e che sviluppa la capacità di mettersi in rapporto con gli oggetti» (Winnicott, 1963, p. 335). Winnicott ritiene che il lattante sia in grado di interagire con la madre fin dai primi giorni di vita e pone l’accento sulla possibilità di esperire una continuità dell’essere, sul ruolo materno come presenza capace di sostenere e di gratificare. Da queste interazioni precoci può emergere il vero Sé grazie alla funzione di supporto offerta dalla madre garante di un’interazione favorevole e in grado di predisporre il supporto necessario al corretto sviluppo del bambino. A differenza di Kohut, la madre che sa porsi correttamente in rapporto col figlio non è soltanto la madre che rispecchia il figlio, ma è colei che sa anche porsi intimamente in sintonia con le sue emozioni interne. Il falso Sé prende corpo da una distorsione interazionale in cui la madre richiede indirettamente al figlio di essere accondiscendente e compiacente come condizione imprescindibile di accettazione.
Il falso Sé, che rappresenta anche la strutturazione dell’educazione sociale, nasce e matura come conseguenza dell’inadeguata funzione materna, a discapito del vero Sé che per Winnicott coincide con l’esperienza del vivere e della continuità dell’esistenza. Il falso Sé sorge come costruzione avente lo scopo di colmare il vuoto aperto dal difetto della risposta dell’altro le cui aspettative possono portarlo fino allo smarrimento. In accordo con quanto sopra citato di Locke, il Self winnicottiano non è una struttura ma un’esperienza soggettiva, l’esperienza della persona come me e come altro; anche il vero Sé non è una struttura, ma è un vissuto interiore che vive in relazione all’esistenza del falso Sé. Il concetto di Self in Winnicott è riconducibile al modo in cui ognuno percepisce il proprio corpo e l’immagine che di tale corpo si costruisce. Il Self non è oggettivabile, è un’autoesperienza empirica che assume connotazioni individuali.
Seppure la natura empirica del Self in Winnicott possa portare almeno in apparenza ad una non precisamente riscontrabile concettualizzazione, lo stesso autore ha esposto in modo inequivocabile quanto da lui inteso con il termine “Self” all’interno di un completo passo che ci permetterà di analizzare puntualmente quanto da noi ricercato riguardo questa strutturazione teorica del termine e come possa essere interpretato all’interno di questo lavoro:
«In questo articolo, il punto principale riguarda la parola “Sé”. Mi chiedo se c’è qualcosa che io potrei scrivere su questa parola, ma naturalmente appena mi metto a farlo mi accorgo che c’è molta incertezza anche nella mia stessa mente rispetto a quello che veramente voglio dire. Mi accorgo di aver scritto quanto segue […]» (Winnicott, 1970, p. 294)
La natura empirico-esperenziale del termine non ne permette una chiara oggettualizzazione e lo stesso autore pone come condizione iniziale un’apparente difficoltà di concettualizzazione riguardo al problema. L’espressione “accorgersi di aver scritto quanto segue” rafforza l’idea basilare secondo cui il Sé è esperienza e da questa non può essere scissa; l’autore è anche oggetto di quello che scrive e pertanto ne è direttamente coinvolto.
«Per me il Sé, che non è l’Io, è la persona che sono io, che è solo me e che ha una totalità basata sull’operare del processo maturativo; nello stesso tempo, il Sé ha delle parti ed è in effetti costituito da queste parti, che si agglutinano dall’interno verso l’esterno nel corso del processo maturativo, aiutato come può essere, soprattutto all’inizio, dall’ambiente umano che contiene e maneggia il bambino e lo facilita in un modo vivo.» (Ibidem)
Da quanto sopra riportato emergono nuovamente informazioni rigurardanti il rapporto Sé-Io, ovvero come i due concetti siano per l’autore inevitabilmente distinti.[14]
Il Self è considerato da Winnicott come un’entità primordiale psichico-corporea e relazionale, funzione unificatrice dei vari particolari dell’esistenza umana la quale permette l’individuazione personale. Il ripetuto richiamo al processo maturativo sintetizza e racchiude la teoria evolutiva winnicottiana in rapporto diretto con l’ambiente che possiede funzioni di contenimento e maneggiamento.[15]
«Il Sé si trova naturalmente collocato nel corpo, ma in certe circostanze può dissociarsi dal corpo, o il corpo da esso. Il Sé riconosce se stesso negli occhi e nell’espressione del viso della madre e nello specchio che può arrivare a rappresentare il viso della madre.» (Ivi, p. 295)
La naturale localizzazione corporea definisce il Sé come luogo interiore in cui, o da cui, ciascuno può esperire la propria individualità ed unicità. Tale tentativo di inserire, anche se soltanto concettualmente, un apparato psichico all’interno di un riferimento biologico, avvicina Winnicott alla dottrina freudiana dalla quale non prese mai nette distanze. Tramite l’identificazione ed il contenimento materno il bambino può acquisire la sua individualità e riconoscere l’unicità che lo distingue dall’oggetto-madre accudente;[16]
«Alla fine, si arriva ad una relazione significativa tra il bambino e la somma delle identificazioni che, dopo una sufficiente incorporazione e introiezione di rappresentazioni mentali, si organizzano nella forma di una realtà psichica interna vivente. » (Ibidem)
Al Self è affidata la funzione di unificatore delle varie identificazioni.
«La relazione tra il bambino e la sua organizzazione psichica interna si modifica secondo le aspettative dimostrate dal padre, dalla madre e dalle persone significative nella vita esterna dell’individuo. Sono il Sé e la vita del Sé che soli danno senso all’azione e alla vita dell’individuo, che è cresciuto fino a questo punto, e che continua a crescere, dalla dipendenza e dall’immaturità verso l’indipendenza e verso la capacità di identificarsi con oggetti d’amore maturi senza perdere l’identità individuale.» (Ibidem)
Da questa ultima parte della citazione possiamo prevedere l’importanza delle aspettative e delle richieste genitoriali riguardo lo sviluppo del Sé. L’indipendenza e la possibilità di stabilire relazioni oggettuali mature sono obiettivi da raggiungere attraverso un processo maturativo non disturbato che implica in prima istanza la salvaguardia della propria identità, ovvero del sentirsi vivi, reali e creativi.
Concludendo, non possiamo fare a meno di riportare che «Una parola come “Sé” ha naturalmente un significato più ampio di quello che noi intendiamo» (Winnicott, 1960, p. 203).
Bibliografia
Avvertenza: la data dei riferimenti bibliografici presenti nell’elaborato si riferisce all’edizione originale dell’opera, mentre i numeri di pagina si riferiscono alla traduzione italiana utilizzata.
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[1] Tale espressione, ripresa dall’opera citata, indica che la persona è rappresentata dall’insieme dei tre distinti aspetti del Sé.
[2] Cap. IX, Altri partner, altri sé, saggio di Giuliana Pinto, Emanuela Del Rosso e Brigida Palladino.
[3] Il campione dei soggetti che hanno preso parte alla ricerca sono 100 bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni bilanciati per sesso, età e classe scolastica.
[4] In questa ricerca, i disegni sono stati analizzati seguendo le regole di codifica riportate all’interno del testo citato.
[5] Volendo riportare un significato enciclopedico e attuale di questo termine, possiamo citare la seguente definizione di Sé: «Nucleo centrale della persona, fattore di coordinazione e di coerenza interna di processi psicologici e di controllo dell'azione. Elemento di connessione tra il mondo mentale e quello esterno, il Sé nasce dall'interazione sociale e, in particolare, dalla trama di reciproche percezioni e giudizi che si instaurano nelle relazioni con gli altri» ("Sé", Microsoft® Encarta® Enciclopedia Online 2003,
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[6] Tramite il termine “Internet” con la lettera maiuscola ci riferiamo alla rete informatica derivata dal progetto militare statunitense Arpanet avviato negli anni ’60.
[7] Luogo virtuale dove più persone possono scambiarsi informazioni in tempo reale.
[8] Electronic Mail, protocollo che permette l’invio e la ricezione di informazioni e documenti tra utenti tramite Internet. Il suo funzionamento può essere equiparato a quello della posta ordinaria dove ogni messaggio viene recapitato presso un preciso destinatario.
[9] E’ estremamente interessante notare come nell’Enciclopedia della psicanalisi di Laplanche e Pontalis (1967) non sia preso in considerazione il termine “Sé”; eppure, sotto la voce “Io”, viene riportato un passo di Hartmann in cui viene trattato il termine “Sé”: «Quando si utilizza il termine di narcisismo pare che spesso si confondano due coppie di opposti: la prima concerne il sé (self), la propria persona in opposizione all’oggetto, la seconda riguarda l’Io [come sistema psichico] in opposizione alle altre strutture della personalità. Tuttavia, l’opposto di investimento d’oggetto non è investimento dell’Io [ego-cathexis], bensì investimento della propria persona, cioè investimento di sé [self-cathexis]; quando parliamo di investimento di sé ciò non implica che l’investimento sia situato nell’Es, nell’Io o nel Super-io […]. Si chiarirebbero allora le cose se si definisse il narcisismo come l’investimento libidico non dell’Io ma del sé» (cit. in Laplanche-Pontalis, 1967); notare anche il “sé” scritto in minuscolo contrapposto alle altre istanze ”Io”, “Es” e “Super-io” scritte in maiuscolo. Tale assenza può essere il risultato di una scelta consapevole degli autori ed effettuata in base al loro orientamento teorico.
[10] Winnicott, interpretando il rapporto Io-Sé in Freud, ha affermato che Freud considerava l’Io «quella parte del Sé che entra in rapporto con l’ambiente» (Winnicott, 1958, p. 13)
[11] Il termine “Id” è la traduzione inglese del termine tedesco “Es”. Winnicott definisce l’Io come «quella parte della personalità umana in accrescimento che tende, in condizioni adatte, ad integrarsi in un’unità» (Winnicott, 1965, p. 67). Inoltre, esplicitando la posizione evolutiva dell’Io all’interno dello sviluppo, sostiene che «E’ necessario […] concepire le funzioni dell’Io del bambino nei primissimi stadi di sviluppo, come inseparabili dalla sua esistenza di persona» (Ibidem). Questo permette di inferire, secondo la teorizzazione winnicottiana, una primitiva esistenza dell’Io.
[12] Successivamente verrà analizzata approfonditamente una citazione dove Winnicott sostiene la distinzione tra Sé e Io.
[13] In lingua originale: «every one is to himself that which he calls self» (cit. in Jervis, 1989, p. 50)
[14] Vedi quanto precedentemente citato riguardo al rapporto Sé-Io-Id riguardo allo sviluppo.
[15] Tale termine, apparentemente singolare, è un tentativo di rendere in italiano il termine “handling” comunemente utilizzato da Winnicott e difficile da tradurre se non che a discapito del significato che assume nella teoria dell’autore.
[16] «Il precursore dello specchio è la faccia della madre» (Winnicott, 1967, p. 189).